Il nostro rapporto con la carne e la prossima pandemia
5 min letturaArticolo pubblicato su DW e tradotto in italiano con l'autorizzazione della testata
Quando la Danimarca ha annunciato l'intenzione di sterminare i visoni d'allevamento in tutto il paese in risposta alla conferma da parte di un istituto di ricerca pubblico che un ceppo mutato di coronavirus è stato ri-trasmesso agli esseri umani e avrebbe potuto ostacolare l'efficacia di qualsiasi vaccino imminente, diversi media - anche quelli rispettabili - si sono precipitati a proclamare timori di una "nuova pandemia".
Per quanto esagerati possano sembrare questi timori, riflettono sia un'accresciuta sensibilità che una crescente comprensione del rischio rappresentato dalle zoonosi - agenti patogeni come Sars-COV-2 (il virus che causa COVID-19) che vengono trasmessi dagli animali all'uomo, e ri-trasmessi a loro volta dall'uomo all'animale.
"La domanda non è "se", è "quando" ci sarà la prossima pandemia", ha detto a DW Delia Randolph, tra le principali esperte al mondo di diffusione di malattie animali, quando le è stato chiesto cosa significano le zoonosi per l'umanità. "Da quando abbiamo dati precisi, abbiamo visto emergere una nuova malattia umana ogni quattro mesi, molte da animali [...] e questo fenomeno sta accelerando".
Per essere precisi, tre su quattro di queste "nuove malattie" provengono da animali e la frequenza con cui sono emerse sta accelerando da oltre 40 anni.
Randolph è l'autrice principale di un rapporto congiunto dell'International Livestock Research Institute e dell'UNEP pubblicato a luglio che esamina le ragioni di questa accelerazione. La ricerca di dozzine di scienziati in tutto il mondo è giunta a una conclusione: il comportamento umano, ovvero il modo in cui interagiamo con gli animali e li consumiamo, è il principale fattore che aumenta la prevalenza della malattia zoonotica.
Il rapporto elenca diversi "fattori mediati dall'uomo" dietro l'emergenza, tra questi: 1) aumento della domanda umana di proteine animali, 2) intensificazione agricola insostenibile, 3) aumento dell'uso e dello sfruttamento della fauna selvatica.
In altre parole, la nostra richiesta di carne e altri prodotti animali sarà molto probabilmente responsabile della prossima pandemia. Ma di che tipo di animali stiamo parlando?
Le misure igieniche rendono il bestiame sicuro
Secondo i massimi esperti di malattie infettive in Germania, queste generalizzazioni così radicali sulla produzione di carne e l'aumento di nuovi eventi epidemici devono essere fatte con grande cautela; bisogna essere molto chiari, ad esempio, a che tipo di produzione di carne ci riferiamo e che tipo di agenti patogeni portano a tali eventi.
"Non credo che si possa incolpare gli allevamenti intensivi di malattie zoonotiche", ha detto Paul Becher, direttore dell'Istituto di virologia presso l'Università di medicina veterinaria di Hannover. "Gli standard di igiene sono decisamente elevati nel settore agricolo industriale. E bestiame come suini, bovini, capre o pecore non sono generalmente ricettivi a questo tipo di patogeni esotici. È una questione complessa, ma le nuove malattie zoonotiche di solito provengono da animali selvatici".
Nonostante la quantità smisurata di animali necessari per la produzione industriale intensiva di carne e il fatto che gli animali siano tenuti in stretta vicinanza, gli epidemiologi veterinari sembrano concordare sul fatto che questi animali non sono responsabili della genesi e della diffusione di nuove malattie.
"L'allevamento intensivo è un terreno fertile perfetto per la trasmissione di agenti infettivi", ha detto Marcus Doherr, capo dell'Istituto di epidemiologia veterinaria presso la Libera Università di Berlino. "Se un'infezione dovesse verificarsi in questo sistema chiuso, non ci sarebbe nulla per impedirne la diffusione a tutti gli animali. Tuttavia, le pratiche igieniche in atto lo rendono molto raro".
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L'Istituto nazionale tedesco per la salute animale Friedrich Loeffler sottolinea che diverse malattie zoonotiche sono state introdotte in passato attraverso l'allevamento intensivo, tra cui la tubercolosi bovina, la brucellosi, l'influenza aviaria, il campylobacter e la salmonella, ma che "gli esseri umani tendono a dimenticarlo velocemente, in ogni caso le infezioni possono essere facilmente evitate seguendo le misure igieniche”.
Il peso della perdita di biodiversità
I rischi rappresentati dall’allevamento di carne selvatica e di animali da cortile, metodi comuni di produzione di carne nei paesi in via di sviluppo, comprese le regioni umide delle foreste tropicali in Africa e Asia, sono maggiori non solo a causa della mancanza di misure igieniche. Si deve anche prendere in considerazione la maggiore predisposizione per i microrganismi dove si svolgono queste pratiche.
"Se si ha un'elevata biodiversità con le cose che si vedono, si ha una biodiversità ancora più alta con le cose che non si vedono", ha detto Fabian Leendertz, epidemiologo di microrganismi altamente patogeni presso l'Istituto tedesco Robert Koch.
Leendertz ha detto a DW che è "sorprendente quanti virus, batteri e parassiti esistono in natura e come così pochi di loro siano riusciti a raggiungere gli esseri umani", aggiungendo, tuttavia, che mentre gli esseri umani invadono sempre di più gli habitat degli animali e sradicano la biodiversità, i patogeni avranno maggiori possibilità di fare quel salto e creare nuove malattie zoonotiche.
"Se si distrugge la diversità delle specie, ad un tratto si hanno cambiamenti nella composizione dei mammiferi, e questi cambiamenti possono far sì che alcune specie diventino molto numerose. Se poi trasportano un agente patogeno altamente infettivo, la probabilità di un salto agli esseri umani è molto più alta”.
La sovrappopolazione è il problema principale?
L'invasione dell'umanità negli habitat naturali e la conseguente perdita di biodiversità è un effetto secondario della nostra popolazione globale in aumento.
Allo stesso modo, l'aumento dell'allevamento da cortile e il commercio di carne selvatica sono dovuti alla crescita della popolazione, poiché la carne è spesso l'unica fonte sicura di sostentamento in alcune parti del mondo in via di sviluppo.
Tra gli epidemiologi e virologi veterinari contattati da DW per questo articolo, tutti hanno sottolineato che la crescita della popolazione associata alla nostra maggiore mobilità come specie è altrettanto problematica della nostra richiesta di carne quando si tratta di un aumento di malattie zoonotiche.
"Gli agenti patogeni sono sempre stati lì", ha detto Fabian Leendertz. "Ciò che è cambiato e ciò che penso sia davvero preoccupante è la grande connettività del mondo globalizzato in cui viviamo oggi. Il rischio che un piccolo agente patogeno esotico raggiunga una grande città da dove può facilmente diffondersi in tutto il mondo è ora molto maggiore di quanto non sia mai stato prima”.
"Non sto dicendo che avremo una COVID-19 ogni anno", ha detto Marcus Doherr, a cui è già stato chiesto dalle compagnie di assicurazione se è possibile prevedere il prossimo grande focolaio. "Quello che sto dicendo è che la possibilità che accada di nuovo c'è sicuramente. Date le dimensioni della nostra attuale popolazione e l'interazione con la fauna selvatica che è molto intensa in alcune regioni del mondo, sarà impossibile prevenire la trasmissione di agenti patogeni tra animali e gli esseri umani. Ma se riesce a diffondere tra gli esseri umani a livello di pandemia dipende da nient'altro che dalle nostre abitudini di viaggio, dalla nostra mobilità globale”.
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